La moda cambia rapidamente, le maison propongono a ogni stagione nuove tonalità e nuovi design. Se già dagli anni ’80 era possibile rinnovare il proprio guardaroba periodicamente, per stare al passo con la moda, gli anni 2000 hanno rappresentato il vero periodo d’oro per il fast fashion.
Sono nati numerosi marchi internazionali d’abbigliamento, capaci di portare rapidamente i modelli visti sulle passerelle delle fashion week direttamente sui loro scaffali e raggiungere facilmente i nostri armadi. Un susseguirsi di collezioni diverse, con capi dai prezzi accessibili e materiali di qualità discutibile, che rispecchiano il valore della spesa sostenuta per acquistarli. Nonché realizzati senza un briciolo di attenzione alla sostenibilità ambientale e all’etica del lavoro.
Questa nuova economia della moda permette ogni giorno al suo pubblico di poter rinnovare i propri outfit senza troppi sensi di colpa verso il portafoglio. Tuttavia, i capi acquistati a costi stracciati sono destinati a durare poco. Finiscono nella spazzatura appena la moda cambia. Oppure, nella migliore delle ipotesi, restano nascosti e dimenticati in fondo all’armadio.
Ma il fast fashion solleva questioni economiche e morali ancora più complesse. Dietro a questa industria prolifica e scintillante emerge una domanda dirompente: com’è possibile che abiti e accessori moda possano costare così poco? La loro produzione come può essere cosi rapida? Facciamo un po’ di chiarezza sull’industria della moda usa e getta e vediamo come sia possibile fare acquisti più consapevoli.
Che cos’è il fast fashion
Con fast fashion intendiamo la tendenza commerciale nell’industria dell’abbigliamento a sovraprodurre capi a basso costo, risparmiando su manodopera e materie prime. Dunque, si basa sulla creazione di nuovi bisogni nel pubblico, incentivando il ricambio dei prodotti con ripetuti lanci di nuove collezioni (ormai sono oltre 50 le collezioni annuali), senza nessun riguardo per il successivo smaltimento dei tessuti che vengono gettati via perché usurati rapidamente, non più alla moda o, addirittura, mai venduti.
L’opinione pubblica ha cominciato a sollevare dubbi sulla moda fast di pari passo con la crescente consapevolezza dei consumatori: quali sono i processi di produzione del vestiario proposto da queste grandi catene nei loro punti vendita?
Ciò che ne è emerso ha dato vita a questioni morali, sociali e ambientali riguardo ai Paesi in cui le aziende delocalizzano la produzione. Il costo al ribasso dei capi grava sulle spalle di lavoratori sottopagati e territori sfruttati, al netto dei grandi ricavi economici delle aziende produttrici e distributrici.
L’impatto sociale del fast fashion
Per sapere quali sono i paesi in cui viene delocalizzata la produzione degli abiti, basta guardare le etichette dei prodotti che troviamo nei punti vendita delle catene di abbigliamento low cost. In genere sono indicate nazioni con economie arretrate, in cui la forza lavoro viene sottopagata e i contratti non rispettano i basilari diritti umani.
In questi paesi, la manodopera è molto economica perché non regolamentata come nella maggior parte degli stati occidentali. Le condizioni di lavoro e le retribuzioni sono al limite dello schiavismo e spesso la produzione intensiva di capi d’abbigliamento si avvale dello sfruttamento del lavoro minorile.
L’impatto ambientale del fast fashion
Le società a cui viene affidata la produzione del vestiario a basso costo non hanno di certo riguardo per il territorio in cui colloca le manifatture. Uno dei motivi per cui i prodotti costano così poco è che non hanno alcun riguardo per le norme ecologiche che potrebbero salvaguardare la natura circostante.
Le materie prime sono di scarsa qualità. Parliamo di tessuti sintetici derivati dal petrolio o da cotone coltivato con pesticidi, nonché trattato con agenti chimici tossici che lo rendono difficile da smaltire. Senza dimenticare che le manifatture tessili impiegano e sprecano grandi quantità di acqua nella produzione e non si preoccupano di investire nello smaltimento degli scarti.
Il risultato è una enorme quantità di versamenti chimici e tossici che finiscono per inquinare falde acquifere e terreni limitrofi, con un importante impatto sulla produzione agricola e sulla qualità della vita della popolazione. L’impatto ambientale dei marchi di abbigliamento low cost non si ferma al processo produttivo, continua nelle fasi di distribuzione e smaltimento. Basti pensare a:
- quantità di CO2 prodotte durante il trasporto dei prodotti dalla fabbrica di produzione ai punti vendita sparsi in tutto il mondo;
- capi d’abbigliamento acquistati e gettati via perché poco resistenti, vista la scarsa qualità, o soggiogati ai continui cambi di moda;
- capi invenduti, accumulati e smaltiti, generalmente tramite combustione.
Il fast fashion è davvero conveniente?
Le nuove collezioni ci attirano con colori brillanti e modelli sempre nuovi. Promettono di valorizzare il nostro stile a fronte di una piccola spesa. Dunque, risulta più facile lasciarci tentare da capi di cui non abbiamo un reale bisogno. Certe volte li compriamo per non indossarli mai o ci ritroviamo a gettarli via dopo averli messe solo un paio di volte.
Purtroppo, per essere così economici, questi capi sono spesso realizzati con materiali sintetici, derivati dal petrolio, trattati con agenti chimici tossici. Siamo sicuri di volerli mettere a contatto con la nostra pelle? Inoltre, nella maggioranza dei casi, sono rifiniti in maniera approssimativa, con cuciture imperfette e tessuti che si consumano, o strappano, con facilità. Dettagli che riducono la longevità dei capi inducendoci a gettare via quelli ormai lisi per comprarne di nuovi. È così che alimentiamo l’industria fast fashion e contribuiamo ai suoi effetti negativi sulla società e l’ambiente.
Quindi, compriamo capi che non dureranno a lungo e indurranno il bisogno di fare nuovi acquisti molto presto. Acquistare abiti e accessori moda di scarsa qualità, o che non useremo affatto, è davvero un reale risparmio, oppure è solo una mera illusione?
Le scelte etiche cambiano il mondo
Il modello di business del fast fashion ormai è profondamente radicato nella nostra economia consumista. Tant’è che a un primo impatto sembra davvero difficile rinunciarci. Sapere che quei prezzi così convenienti gravano sulla qualità della vita di altre persone, nonché sull’ambiente in cui viviamo e cresciamo i nostri figli, ci pone di fronte a un dilemma morale. Cosa possiamo fare noi? In realtà, molto:
- informarci sulla filiera produttiva dei negozi da cui ci serviamo;
- scegliere di commisurare il prezzo con la qualità di quello che stiamo comprando, per assicurarci che siano abiti e accessori di marchi che certificano una produzione etica, con condizioni di lavoro eque e politiche di produzione ecologiche;
- scegliere di vestire slow fashion, ovvero optare per capi curati nei dettagli, realizzati con materie prime di qualità e rifiniture accurate, capaci di durare nel tempo;
- diffondere informazioni e consapevolezza, per avanzare verso il cambiamento.
Le catene di abbigliamento low cost sono presenti nelle principali vie dello shopping e sanno come far parlare di sé, ma fare shopping sostenibile si può. Cerca attorno a te i marchi che ti offrono uno stile unico, alla moda e soprattutto sostenibile.
Gli accessori moda Vertigo by FilidiLana sono realizzati artigianalmente, nel rispetto dell’ambiente e con filati italiani di pregio, selezionati dai nostri tessitori esperti. Visita il nostro store online o contattaci per saperne di più. Oppure, vieni a toccare con mano le nostre collezioni nel Factory Store FilidiLana a Calenzano (Firenze). Lasciati avvolgere da un capo realizzato con sapienza, pensato per valorizzare la tua personalità e accompagnarti negli anni a venire.